I farmaci, attraverso un meccanismo chiamato diffusione, possono passare dal sangue alle cellule alveolari della ghiandola mammaria.
Generalmente nei primi 4-10 giorni di puerperio la barriera tra i capillari e gli alveoli della ghiandola mammaria presenta degli spazi che permettono il passaggio di anticorpi, proteine plasmatiche, linfociti materni e anche dei farmaci.
Subito dopo la prima settimana le cellule alveolari si ingrossano chiudendo di conseguenza questi spazi intercellulari e limitando quindi l’accesso di sostanze nel latte.
E’ risaputo che i farmaci passano nel latte maggiormente nel periodo del colostro.
La quantità di farmaco escreta nel latte dipende da numerosi fattori, quali:
Differenza di concentrazione tra plasma e latte ( una sostanza si sposta dalla zona in cui è più concentrata a quella dove lo è meno )
Peso molecolare
Liposolubilità e legame proteico
Biodisponibilità orale nella madre e nel neonato
Il fattore più importante che va ad influenzare il passaggio di un farmaco nel latte è la concentrazione plasmatica materna, in quanto maggiore è la quantità di farmaco presente nel plasma, maggiore sarà la sua diffusione nel latte.
Un’eccezione a questa situazione è l’assunzione dello iodio; questo elemento, infatti, attraversa la barriera alveolo-capillare mediante un meccanismo attivo che non dipende dalla concentrazione plasmatica. A causa di questo problema raramente vengono impiegati prodotti contenenti iodio nel caso di madri che allattano.
In genere più basso è il peso molecolare di un farmaco e maggiore sarà la probabilità che esso sia escreto nel latte, semplicemente perché è più facile il passaggio attraverso la cellula epiteliale alveolare.
I farmaci con un elevato grado di liposolubilità penetrano nel latte in concentrazioni più alte.
Il contenuto lipidico del latte varia a seconda dell’intervallo trascorso dal parto e soprattutto in relazione al momento della poppata: il latte posteriore ( hind milk ) ha un elevato contenuto di lipidi e può perciò contenere farmaci liposolubili in maggior concentrazione.
L’affinità di legame con le proteine plasmatiche materne è un fattore molto importante da prendere in considerazione nella terapia farmacologica durante l’allattamento; in questo periodo, infatti, è consigliato l’utilizzo di farmaci con maggiore affinità di legame proteico ( il farmaco legandosi alle proteine plasmatiche non può passare la barriera alveolo-capillare perché è troppo grande ).
I farmaci che vengono degradati a livello gastroenterico o metabolizzati rapidamente a livello epatico ( aminoglicosidici, alcune cefalosporine di III generazione, Omeprazolo ), anche se sono escreti nel latte, comportano rischi trascurabili per il lattante.
È opportuno, però, ricordare che un farmaco presente nel latte può comunque causare effetti indesiderati gastro-intestinali come nel caso degli antibiotici, provocando diarrea, stipsi e, seppur più raramente, gravi patologie ( ad esempio la colite pseudomembranosa ). ( Xagena_2010)
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