Infezione da HIV del feto e dei suoi annessi
La quasi totalità dei casi di HIV ( Human Immunodeficiency Virus ) pediatrico è legato alla trasmissione perinatale della malattia, pur essendo noto che può avvenire in qualsiasi momento della gravidanza.
I periodi più a rischio sono le ultime settimane, il parto e l’allattamento, sia per disseminazione ematogena fetale dopo il passaggio transplacentare del virus, sia per esposizione fetale al sangue materno e alle secrezioni genitali infette della madre.
La trasmissione virale materno-fetale è dimostrabile da:
Comparsa di anticorpi fetali specifici IgA anti-HIV dopo tre, sei mesi dal parto;
Coltura virale positiva;
Comparsa dell’antigene virale p24 nel sangue fetale dopo settimane o mesi dal parto;
Negatività della PCR alla nascita e positività dopo alcuni mesi.
L’infezione da HIV nella gestante può provocare aborto, parto prematuro, infezione fetale ed embriopatie di varia natura.
Al fine di rendere minima l’incidenza dell’infezione fetale è necessario un controllo sierologico della gestante, la profilassi con antiretrovitrali durante la gravidanza e una condotta ostetrica rivolta ad evitare il contagio al momento del parto.
Le donne gravide sieropositive devono essere sottoposte a screening per malattie sessualmente trasmissibili come Clamydia, gonococco, herpes, epatite, Citomegalovirus, toxoplasmosi e Tubercolosi.
Le sieropositive che desiderano avere una gravidanza devono sottoporsi anche al test della tubercolina e, se positive, sottoporsi a radiografia toracica.
Le pazienti che presentano sieroconversione in gravidanza devono esser trattate come si agisce normalmente al di fuori della gravidanza.
La valutazione del rischio di trasmissione verticale si effettua con il monitoraggio della carica virale e della risposta immunitaria con la conta dei CD4+ da effettuare mensilmente, o anche ogni trimestre se la donna è sotto trattamento specifico.
La risposta alla terapia viene valutata secondo le seguenti modalità:
Test di resistenza fenotipico, confronta la capacità di replicazione virale in presenza di vari tipi di farmaci con quanto avviene in assenza di terapia.
Test di resistenza genotipico, rivela le mutazioni genetiche che codificano le mutazioni delle proteasi e della trascrittasi inversa virali.
Valutazione di effetti avversi, o comparsa di sintomatologia non spiegabile con la gravidanza, e conseguente necessità di cambiare il farmaco o sospendere il trattamento.
Il trattamento con sola Zidovudina ( AZT, Retrovir ) a gravidanza già iniziata riduce il contagio fino al 5%, mentre un trattamento antiretrovirale combinato lo riduce fino a valori al di sotto dell1%. La Zidovudina va somministrata dopo la 14a settimana e poi continuata nel corso del travaglio.
L’associazione con Lamivudina ( 3TC, Epivir ) anche nelle pazienti con scarse difese immunitarie determina una netta riduzione della mortalità materna, che diventa ancora più alta con le associazioni farmacologiche combinate, fino a portare addirittura in alcuni casi alla non evidenza plasmatica del virus ( Zidovudina + Lamivudina = Combivir ).
A questo trattamento va associata la profilassi per le infezioni opportunistiche; in ogni caso l’intervento polifarmacologico non ripristina completamente l’immunocompetenza materna.
Nei paesi in via di sviluppo i costi elevati della terapia incidono sul trattamento, e la prevenzione dell’infezione pediatrica da HIV, infatti, viene effettuata solo tramite la terapia con Zidovudina abbinata al taglio cesareo.
Durante l’allattamento, che non in tutti i casi è sconsigliato, la prevenzione pediatrica può essere fatta attraverso somministrazione farmacologica anche per tutta la durata del periodo, di circa due anni.
Il taglio cesareo è da effettuare sotto copertura antibiotica, in modo che sia possibile ridurre le complicanze post-operatorie evitando quanto più possibile la contaminazione del sangue fetale con quello materno. ( Xagena_2010 ).
Gyne2010